L'Autore

Bruno Monsaingeon

Bruno Monsaingeon, musicista scrittore e regista francese ha acquisito notorietà internazionale, grazie ai suoi film su Glenn Gould. Tra le sue pubblicazioni, diversi libri dedicati a grandi musicisti, quali Sviatoslav Richter, Yehudi Menuhin e una trilogia in parte tradotta in italiano su Glenn Gould.

Collana: Femmes Extraordinaires
Brossura pp. 240
ISBN: 9788895689043

Incontro con Nadia Boulanger

«Sono stata ad Atene soltanto una volta, per tre ore. E questo ha cambiato la mia vita per sempre. Ho visto l’Acropoli, ho compreso quello che ci ha donato e come tutto questo ci ha plasmato. Di come sia la sorgente di tutto ciò che è prezioso, profondo e gioioso in noi. È perché la passione è pulsante che i greci hanno fatto di Minerva una dea, ha scritto Maurras. Da bambina sognavo la Grecia, la sola parola «Grecia» evocava in me più di quanto potessi esprimere o solo conoscere. Ho avuto la grande fortuna di essere allevata da una madre con una straordinaria intelligenza. Mi adorava – aveva perso una bambina prima che nascessi – così il mio arrivo fu considerato un miracolo; ma mi amava così tanto, che questo non le impediva di essere spassionata nei suoi giudizi. Soltanto una cosa lei non avrebbe mai potuto tollerare: la mancanza di attenzione. Fin dall’inizio fui allevata con assoluta attenzione, come qualcosa di vitale per la consapevolezza di sé. Spesso, nelle persone questa qualità manca, anche se dovrebbe essere una componente essenziale del nostro carattere. Con alcune persone c’è una tale forza di concentrazione che tutto diventa importante, con altri tutto passa e viene dimenticato. Loro ripetono i gesti quotidiani di giorno in giorno. Non è possibile alcuna evoluzione, perché tutto ciò che loro producono si dissolve immediatamente. E poi, ci sono persone che impiegano venti, quaranta, cinquanta anni per trovare ciò che cercano. Così, prima di incoraggiare qualcuno, tu devi intuire se sono capaci di amare, di interessarsi a ciò che fanno, qualunque cosa sia e avere rispetto di se stessi. Questa è una distinzione fondamentale tra le persone. Alcuni sono straordinariamente attivi e altri sono quelli che io chiamo i «dormienti». Lasciamo che i dormienti continuino il loro sonno, non c’è alcun motivo di svegliarli. Sono simpatici, contenti, cortesi, persone irreprensibili, sono quello che sono. Non so se l’attitudine all’attenzione possa essere insegnata. Direi che tutti coloro i quali conducono una vita senza prestare attenzione a ciò che fanno, stanno sprecando la loro vita. Sarei tentata di dire che senza attenzione non c’è vita, sia se si pulisca una finestra o si stia scrivendo un capolavoro. Questo ci porta a una pagina meravigliosa di Bergson, in cui spiega che l’uomo si confronta con il caos della natura e che a un certo livello, il suo compito è quello di ordinarlo. In queste condizioni, l’uomo ha scoperto di essere capace di un pensiero molto più profondo, di una maggiore comprensione di quanto credeva possibile: «I filosofi che speculano su questo problema, non hanno evidenziato sufficientemente che quando si raggiunge la meta desiderata, la natura dà un segno». Bergson aggiunge questa immagine meravigliosa: «Il segno è la gioia, e posso definirla come l’essenza divina». E conclude acutamente: «Qualcuno cerca gratificazione in misura proporzionale all’insicurezza del suo successo, ma chi è sicuro non cerca alcuna approvazione e solo allora conosce». Così, che cos’è quella forza che rende santi, eroi, geni, che fa perseguire agli uomini i loro destini fino alla fine? La forza viene data a tutti. Ciò vale per Wagner quando scrive la sua musica, come pure per l’anonimo pulitore di finestre, o il bimbo che noi crediamo possegga solo una rudimentale forma di coscienza. Non so se le piacciono i bambini, lei è probabilmente troppo giovane; io li amo, purtroppo però, non so come trattarli. Ma non dimenticherò mai, il giorno in cui portai a un bambino di quattordici mesi un pacco con un orsetto o qual- cosa del genere. Non era per niente interessato al giocattolo. Era affascinato dal nastro! Non avresti potuto distrarre la sua mente e le sue piccole dita dallo sciogliere il nodo. E poi ci sono persone che stringono la mano come un «pesce morto» e non è molto piacevole. Di contro, quando alcune persone stringono la mano, si sente uno scambio, anche se breve, uno scambio straordinario tra quella persona e te. E tutti due morirete, sparirete o piuttosto prenderete una forma che ignorate nella sua essenza. C’è una frase di Shakespeare nell’Amleto, alla quale penso ogni giorno della mia vita, senza eccezione: «Le parole senza i pensieri, non vanno mai in cielo». Se ti dico «Buon giorno» senza pensarci, io non esisto. Quando eravamo a Roma, mia sorella aveva diciannove anni, aveva vinto il Prix de Rome, lei era in tutta la sua grazia, in tutta la sua innocenza. Stavamo passeggiando nei giardini di Villa Medici. Nei giardini, avevamo l’illusione di una giovinezza che pensavamo durasse per sempre; c’era anche una vecchia signora che stava togliendo le erbacce, la sua pelle era tutta raggrinzita, ma mostrava i segni di una straordinaria bellezza. Era il 1913, e quel giorno è ancora importante nella mia vita. Siamo passate da lì, lei ha sollevato la testa, facendo un grande sorriso e ci disse: «Buon giorno, e per tutto il giorno». Il sorriso in sé era già un dono. Noi avremmo dovuto comprenderlo e avremmo dovuto ringraziarla. Sono passati sessantacinque anni, mia sorella è morta nel 1918, ma quando io sento quella frase, mi dico: «Non dimenticare mai che i tuoi giorni sono benedetti, puoi non sapere come trarne profitto, ma sono benedetti». Pensa che sia un’attitudine nei confronti della vita intollerabile o troppo seria? Non m’importa che sembri intollerabile, ridicola o semplice. Devo le mie gioie più grandi – come immagino per altre persone – a quei momenti in cui ho colto ciò che mi era stato donato e l’ho sentito profondamente, non esteriormente. Quell’attimo travolgente che ha suscitato la frase «Buon giorno, e per tutto il giorno», non significava nulla in se stesso, era solo un’anziana donna che toglieva le erbacce, ma lei aveva un’anima cristallina. Le donava una sorta di talento del cuore, una santità di spirito e quello che esprimeva era solo ciò che il suo cuore le ispirava. Lei creava qualcosa che andava al di là di se stessa e me. Percepiva l’esistenza di qual- cosa che rendeva delicato il giorno, sapeva che era bello e tutto ciò che ne derivava era un mezzo della grazia. Si direbbe che l’attenzione è quello stato della mente che ci permette di essere. È una forma di visione vissuta dai grandi mistici, in quei momenti in cui godevano dello stato di una pro- fonda concentrazione. Mi viene in mente spesso Santa Teresa d’Avila. Una grande santa, un grande spirito, lei possedeva ancora ciò che chiamava «giorni di preghiera arida», quando lei pregava e pregava – non cessava mai di pregare – ma non succedeva nulla. E poi arrivava il giorno in cui avrebbe sentito. Nell’arte la chiamiamo ispirazione. È l’esatto momento in cui un uomo riesce a cogliere il suo pensiero, quello vero, nella sua anima. Il momento in cui tocchiamo la verità, quando si stabilisce la comunione. Quest’anno c’è stato un concerto di Menuhin, un concerto assolutamente splendido. Ha concesso diversi bis e l’ultimo è stato un movimento lento della sonata in re minore di Brahms. Ciò che successe in quel momento face- va parte di una completezza indescrivibile: l’intera sala si trovava coinvolta nella stessa muta emozione, che creava un silenzio di una qualità straordinaria. Ciascuno comprendeva, sentiva, partecipava a ciò che lui stesso provava. Non penso che Menuhin dimenticherà mai quel momento. In qualche modo attraversava un livello più alto che raggiungiamo molto difficilmente. Siamo troppo deboli per scalare queste altezze molto spesso. Se riuscissimo a essere in uno stato di comunione interiore con noi stessi, potremmo renderci conto del potenziale che abbiamo a disposizione. Un altro esempio. Ricordo che di recente ho assistito alle prove generali di Rostropovitch per la Tosca. Giusto o sbagliato che sia, penso di poter sopravvivere abbastanza bene senza ascoltare la Tosca che riconosco comunque essere un capolavoro. Non dimenticherò mai le prove con Rostropovich. Mi venne a trovare alla fine, e disse nel suo francese leggermente zoppicante: «Quando faccio qualcosa, deve essere fatto al meglio». Per lui ogni nota era essenziale. Non poteva tollerare una sola nota incerta e sebbene molti sarebbero stati soddisfatti dei primi risultati, lui ripeteva alcuni passaggi così tante volte, con un tale buon umore, con una totale incapacità di mostrarsi impaziente, che l’orchestra affascinata era entusiasta. Ogni musicista dava il suo meglio, nell’euforia creata dalla determinazione totalmente disinteressata. Lui voleva che la musica raggiungesse il miglior livello. E ci riusciva, perché era un artista veramente gran- de! Ma a ciascuno tocca trovare qual è il suo miglior livello. Tutti dovrebbero provare a sforzarsi; altrimenti il «meglio» rimane isolato dietro una barriera. Se tu parli con André Malraux, per esempio, la tua attenzione è molto tesa – i suoi pensieri sono così veloci, a volte non finisce una frase – che per riuscire a seguirlo, devi sviluppare anche tu un nuovo tipo di attenzione. Ho l’impressione che più cerco di pensare ai fondamenti della musica, e più sembra che questi dipendano dai valori umani generali. È facile essere un musicista, un genio, ma il valore intrinseco che costituisce la tua mente, il tuo cuore, la tua sensibilità, dipende da ciò che sei. È possibile che tu conduca una vita dove nessuno capisca chi sei. Ad ogni modo credo che tutto dipenda dall’attenzione. Ti vedo solo se faccio attenzione. Ai miei occhi esisto, solo se presto attenzione a me stessa. Per amore o per forza, tutti ritorniamo ad attingere alle grandi parole. Hai ricevuto o non hai ricevuto la grazia? Santa Teresa d’Avila, afflitta, nonostante tutto fosse pervaso dalla sua aridità, aveva le visioni. Noi diciamo: «È matta, è pura isteria». Ma questo è molto comodo! Menuhin era isterico mentre suonava in maniera sublime un movimento di una sonata di Brahms? No, lui riceveva il potere di penetrare un pensiero che non appartiene né a Brahms, né a lui, né a me. È un pensiero che aleggia nel mondo, sul mondo, e che porta la luce».